Il caso: un ingegnere incaricava un imbianchino di intonacare le parete esterne di un edificio, autorizzandolo ad utilizzare i ponteggi installati da un’impresa edile.
Il ponteggio cedeva e l’imbianchino cadeva rovinosamente a terra, riportando lesioni gravi anche ai polsi, quantificate in un’invalidità permanente pari al 38%.
Ne scaturiva una causa per il risarcimento del danno e la Corte d’Appello stabiliva che, poiché l’invalidità permanente è del 38%, questa non può che avere influito sul calo del reddito esattamente in tale percentuale: se il reddito è calato di più del 38%, è per altre cause non rilevanti ai fini del risarcimento, con la conseguenza che la perdita di guadagno può essere riconosciuta soltanto nella percentuale della invalidità.
La decisione della Corte d’Appello veniva impugnata dall’imbianchino, che affermava che il reddito non deve per forza considerarsi contratto nella percentuale di invalidità, ossia di danno biologico, mentre non necessariamente questa equivalenza è corretta, ben potendo una invalidità del 38% indurre una contrazione dei guadagnai del 50% o comunque in una misura superiore.
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza 26009/2023, stabilendo che ai fini del risarcimento per la perdita della capacità lavorativa, “il criterio secondo cui la contrazione di reddito del danneggiato è equivalente alla invalidità subita è artificioso, non ha alcun fondamento, né ovviamente normativo, né logico, ben potendo una invalidità lieve comportare una grossa contrazione dei guadagni, e viceversa, a seconda del tipo di invalidità (già in tal senso Cass. 2463/2020, nei motivi).
Non c’è ossia alcuna corrispondenza esatta tra entità del danno biologico ed entità del danno patrimoniale da esso causato: un danno biologico di lieve entità se interessa, ad esempio, un arto decisivo per il lavoro (la mano per lo scalpellino) ha un’incidenza assai maggiore di una lesione di grave entità che però non incide sulla capacità di lavoro del danneggiato (la zoppia per un lavoratore intellettuale), cosi che il criterio si dimostra del tutto inadeguato a garantire l’integralità del risarcimento come imposta dal sistema delle fonti (1223 e 2056 c.c.)”.
di Diletta Restani – Associate presso Legalade S.T.A. a.r.l.