Negli ultimi anni, il legislatore ha cercato di incentivare l’installazione delle scatole nere sui veicoli, con l’intento, non solo di migliorare la sicurezza stradale e di contrastare le frodi assicurative, ma anche per avere un supporto probatorio per determinare la responsabilità in un sinistro.
L’art. 145-bis del Codice della Assicurazioni è titolato “Valore probatorio delle cosiddette «scatole nere» e di altri dispositivi elettronici“ e dispone “Quando uno dei veicoli coinvolti in un incidente risulta dotato di un dispositivo elettronico che presenta le caratteristiche tecniche e funzionali stabilite ai sensi dell’articolo 132-ter, comma 1, lettere b) e c), e fatti salvi, in quanto equiparabili, i dispositivi elettronici già in uso alla data di entrata in vigore delle citate disposizioni, le risultanze del dispositivo formano piena prova, nei procedimenti civili, dei fatti a cui esse si riferiscono, salvo che la parte contro la quale sono state prodotte dimostri il mancato funzionamento o la manomissione del predetto dispositivo. Le medesime risultanze sono rese fruibili alle parti”
Il sopra citato articolo rimanda però a successivi decreti attuativi ministeriali, mai emanati, che avrebbero dovuto fissare quattro punti chiave: le caratteristiche tecniche delle scatole nere, le modalità di conservazione dei dati e la loro non ripudiabilità, nonché le norme sulla portabilità dei dispositivi fra compagnie.
Prima del 2017, le scatole nere erano considerate, in ambito processuale civilistico, come un elemento probatorio a disposizione del giudice il quale, secondo l’art. 116 c.p.c., è investito del potere di valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga diversamente.
Secondo tale lettura, un primo orientamento giurisprudenziale escludeva l’efficacia probatoria della scatola nera, considerando le risultanze un mero atto di parte, senza rigore scientifico (in tal senso v. Giudice di pace di Noci, n. 32/2011 confermata da Trib. Bari – sez. di Putignano – n. 145/2013, per riferimenti v. https://www.sicurezzaegiustizia.com); un secondo orientamento riconosceva invece valore probatorio alle risultanze prodotte dalle scatole nere, ma solo nel caso in cui si fosse accertato che queste erano regolarmente funzionanti al momento dell’incidente (v. Giudice di pace Viterbo, 21 settembre 2006, n. 2956, in Foro it., Rep. 2006, voce Circolazione stradale, n. 404). Infine, un terzo orientamento attribuiva al giudice il compito di valutarne l’attendibilità quali elementi di prova ai fini della decisione, a meno che la parte avverso la quale essi erano stati prodotti non li avesse disconosciuti in giudizio (v. Trib. Sassari, 4 agosto 2015 n. 1878; Tribunale di Roma, 13 luglio 2015, n. 15286, per riferimenti v. http://www.ilsole24ore.com).
L’orientamento prevalente prima del 2017 considerava comunque la scatola nera alla stregua di una riproduzione meccanica di cui all’art. 2712 c.c., quindi una delle c.d. prove legali, il quale espressamente prevede che le riproduzioni fotografiche, informatiche, cinematografiche, fonografiche e in genere ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e cose “fanno piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.
Con l’art 145 bis del codice della Assicurazioni si è attribuito, invece, alle risultanze della scatola nera valore di “piena prova” di quanto ivi rappresentato con l’unica eccezione della possibilità di provare il malfunzionamento o la manomissione.
Secondo il dettato normativo, non solo si dovrà provare la manomissione e il malfunzionamento del dispositivo, ma successivamente si dovrà anche dimostrare che i fatti si sono svolti diversamente e quindi se ne può dare prova.
E’ dunque non semplice la prova che spetta alla parte che vuole sconfessare quanto risulta dalla scatola nera anche perché, non sempre, per non dire quasi mai, si è a conoscenza dell’esistenza della stessa e delle sue risultanze i cui dati nella fase stragiudiziale non sono acquisibile per mezzo di accesso agli atti.
Si deve ricorrere quindi ad una CTU e oneri economici consistenti che però non sempre si riescono a risolvere pienamente le problematiche sottese all’impiego del dispositivo.
Dopo l’introduzione dell’art 145 cda è continuato il contrasto giurisprudenziale.
Alcune pronunce di merito, infatti, hanno attribuito ai dati della scatola nera un valore di prova legale, interpretando l’art. 145-bis come un’eccezione al libero convincimento del giudice e spostando l’onere della prova sulla parte che vuole contestare l’attendibilità dei dati. Altre, invece, hanno disconosciuto l’attendibilità ai rilievi effettuati con la cd “scatola nera” ( cfr Giudice di Pace di Noci n. 32/2011; Tribunale di Bari – Sezione di Putignano – n. 145/2013; Gdp Viterbo, n. 2956/06) principalmente per due ordini di problematiche attinenti all’attendibilità.
La prima è quella relativa agli urti non particolarmente intensi, tanto da non essere rilevati, la seconda riguarda il fatto che lo strumento non è omologato quale unità di misura per carenza della legislazione nazionale.
Da qui l’inattendibilità scientifica della “scatola nera” come risulta da una recente sentenza della Cassazione ( n.13725/2024 pubblicata il 16.05.2024) nella quale si è ha sottolineato che, in assenza dei decreti attuativi, le risultanze del dispositivo non possono avere il valore legale di prova vincolante. E andranno considerate quale indizi, poiché non sono state definite le caratteristiche tecniche e le garanzie di affidabilità degli strumenti: “non è possibile attribuire valore legale a un dato raccolto da uno strumento prodotto da un privato per un privato senza che sia assoggettato a qualsivoglia forma di controllo o al rispetto di determinati parametri”.
La questione è al vaglio della Corte Costituzionale perché è stata sollevata, subito dopo l’entrata in vigore della L. 124 cit. (28 agosto 2017), dal Giudice di pace di Barra, con ordinanza 30 settembre 2017 nella quale si contestava la norma per evidente violazione del principio del contraddittorio, trattandosi di prova formatasi fuori dal processo e ad opera di una sola parte (addirittura di un terzo, “ovvero la società privata che gestisce i report della scatola nera), ma anche per violazione del diritto di difesa, in quanto la parte contro cui il documento è prodotto “dovrà sobbarcarsi gli oneri di una consulenza tecnica di ufficio” … “per scardinare le risultanze di un documento per la cui formazione non è previsto contraddittorio alcuno”.
In attesa che la Consulta si pronunci e venga emanato il decreto ministeriale attuativo si può concludere che oggi se anche non si voglia considerare la scatola nera non come piena prova ai sensi dell’art. 145 bis, con il meccanismo ivi previsto di inversione dell’onere della prova (che, come detto è ancora al vaglio della Corte costituzionale), dovrà essere considerata elemento di prova o presunzione semplice, valutando le risultanze al pari di “ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e cose” di cui all’art. 2712 c.c.
di Avv. Alessandra Iacopini – Associate presso Legalade STA A.R.L.
