Ai sensi dell’art. 251 cc: “ciascuno è responsabile delle cose che ha in custodia, salvo provi il caso fortuito”. La norma è pertanto volta a garantire che chi ha la custodia e, più precisamente, il controllo della res, sia chiamato a rispondere dei danni dalla stessa cagionati.
L’articolo in esame assume rilievo in ambito stradale allorché si tratti di sinistri stradali cagionati dal dissesto del manto stradale.
Nel caso di danno derivante da insidia stradale, il ristoro dello stesso deve essere richiesto nei confronti di chi ha in custodia il tratto di strada ove avvenuto il sinistro quindi all’ente pubblico di riferimento.
Fino ad oggi, il danneggiato poteva ottenere una dichiarazione di responsabilità in capo all’ente pubblico dimostrando non solo il danno ed il nesso di causalità con il manto stradale, in cattivo stato manutentivo, ma altresì dimostrando che quel difetto fosse una insidia, un pericolo nascosto non visibile e non prevedibile con l’ordinaria diligenza.
L’onere probatorio in capo al danneggiato subisce invero una rimodulazione alla luce della sentenza n. 8450/2025 della Corte di Cassazione.
Trattasi del proprietario e del conducente di un motociclo che chiamano in causa il Comune al fine di ottenere l’uno il risarcimento del danno materiale e l’altro il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente ad una caduta del motociclo a causa di un dosso non segnalato sul manto stradale.
In primo grado, si costituiva in giudizio l’ente pubblico eccependo la non debenza del risarcimento del danno in quanto la condotta negligente del motociclista aveva concorso a cagionare il danno de quo. Il Tribunale adito, nonostante le eccezioni del convenuto, accoglieva la domanda dei ricorrenti. La decisione veniva tuttavia riformata in sede di appello.
La Corte d’appello, infatti, pur ritenendo l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2051 cc. escludeva la sussistenza di una responsabilità in capo all’ente pubblico in quanto, pur trattandosi di danno cagionato da cattivo stato manutentivo della strada, il danneggiato non aveva provato l’esistenza di una situazione insidiosa caratterizzata dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità soggettiva dello stesso. In pratica i giudici di seconde cure escludevano che la responsabilità di cui all’art. 2051 cc. fosse una responsabilità oggettiva rendendo maggiormente gravoso l’onere probatorio in capo al danneggiato.
I giudici di legittimità tuttavia riformano la sentenza d’appello enucleando il seguente principio: “la responsabilità ex art. 2051 cod. civ., per danni cagionati dalla condizione del manto stradale, prescinde dalla prova della ricorrenza di una situazione di insidia, essendo sufficiente la dimostrazione del nesso tra “res” ed evento dannoso, potendo tale responsabilità escludersi grazie alla dimostrazione, di cui è onerato il custode, della rilevanza causale, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno delle condotte del danneggiato o di un terzo, rispettivamente anche solo colpose e imprevedibili”.
Da ciò consegue che chi subisce un danno materiale o non patrimoniale a causa di insidie nel manto stradale o a causa del cattivo stato di manutenzione di quest’ultimo può limitarsi a provare che è stata proprio quell’anomalia stradale a cagionare il sinistro e di conseguenza i danni non essendo più necessario provare la natura insidiosa dell’anomalia o la propria condotta diligente.
di Avv. Camilla Waldner – Associate presso Legalade STA A.R.L.
